Seconda edizione 2003 • segnalato seconda categoria

Vite parallele

Barbara Gramegna

IL RACCONTO

Geranei rossi e aranciati sui davanzali, qualche armadio di metallo sbiadito dal sole, tendine bianche alle finestre. Nel cortile molte biciclette sforzano i ferri delle rastrelliere e lottano fra loro incastrando freni, manubri e cestelli dell‘una in quelli dell‘altra.
Malevich, Kuntner, Tonolli, Adami, Puff, Rossi e altri nomi sui campanelli delle tre scale che compongono il basso condominio, qualche rispettoso saluto, qualche mugolìo non troppo convinto, qualche chiacchiera non proprio cercata sul vialetto di ingresso.

« Buon giorno!» – «Buon giorno!», Lucia non si fida a salutare Helga in tedesco perché a Helga la cosa potrebbe non sembrare naturale, lei risponde sempre e solo in italiano, perché Lucia, secondo lei, è solo ed esclusivamente italiana.
Lucia esce sempre trafelata alla mattina, sgancia la bicicletta, esce dal cancelletto un po‘ scrostato e imbocca la strada verso la piazza.

Helga sembra camminare sulle punte, procede velocemente verso lo stesso cancelletto, tiene una cartelletta come si trattasse dell‘alibi della sua fretta, butta nervosamente il sacchetto delle immondizie, preparato la sera prima, nell‘unico bidone, procede verso la parte opposta della piazza. Non aspetta mai Lucia per tenerle aperto il cancelletto, del resto non ce n‘è bisogno, la molla lo rende docile ed evita delle brutte figure.

Al rientro per il pranzo, spesso si ritrovano sullo stesso percorso, una avanti e l‘altra a depositare la bicicletta: «Buon giorno!» «Buon giorno!», per fortuna anche il portone d‘ingresso ha una molla educata.
Entrambe sono consenzienti nel vivacchiare fra il non detto e il non fatto.
Nelle belle giornate di primavera, il sicomoro della casa di fronte diffonde un forte profumo, che sommerge quasi quello che Helga si lascia sempre alle spalle.
È questo profumo a far pensare un attimo più a lungo a quanti anni si possano così succedere.

Le due donne entrano ed escono contemporaneamente anche in altri momenti della giornata: con le borse della spesa ricolme, per esempio, e qualche volta accennano persino ad un sorriso, mai una parola, all‘infuori di quel borghese «Buon giorno», a cui, ben presto ognuna nega anche il punto esclamativo.
Nessuna delle due ha mai aggiunto nulla al saluto, ma il silenzio è spesso addizionato dalla voglia di sapere.
Uno sguardo curioso lanciato verso la cassetta della posta a capire che cosa possa ricevere l‘altra, l‘unica intromissione che si sono concesse, in tanti anni, sicure di non essere viste.

Acqua sul vialetto di ingresso, scarpe con le zeppe, pantaloni di tweed, prendisole, così per dieci anni, si sono viste e salutate.
Un venerdì di maggio, con il cielo terso e l‘aria già estiva, Lucia non scende a prendere la sua bicicletta, tutto il suo mondo e le sue stagioni vengono trasportati rinchiusi in scatoloni, sul vialetto fra le rose appena sbocciate.
Tutto quello che Helga non ha mai saputo di Lucia passa per l‘ultima volta da quel cancelletto, ad un‘ora tarda della mattina.

L‘indomani Helga esce, come sempre, dieci minuti prima delle otto. Ma non sente alcuna presenza dietro di lei. Guarda verso la rastrelliera delle biciclette, ma non c‘è nessuno ad armeggiare sul lucchetto. Non vede quella vicina a cui è sfuggita per dieci anni, quasi come si trattasse della sua coscienza. Non c‘è più quella donna, che come lei arrivava tardi a fare il pranzo, che doveva portarsi a casa borse piene di spesa, di cui vedeva un lembo di pantaloni o sentiva un fruscìo d‘abito, secondo stagione.

Malevich, Kuntner, Tonolli, Adami, Puff, e un‘etichetta strappata sui campanelli.
Helga alza lo sguardo: al primo piano serrande abbassate e qualche scatolone sul balcone.
Un‘occhiata all‘orologio la rimprovera di essersi intrattenuta troppo a lungo, più a lungo che per un educato Buon Giorno, a cui mancava anche l‘esclamativo.