Ottava edizione 2015 • segnalato sezione inediti

Precipitevolissimevolmente

Davide Schiavon

Davide Schiavon

Davide Schiavon, nato ad Aosta il 6 ottobre 1989, lavora attualmente come traduttore e interprete in Germania. Alla formazione universitaria conseguita alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Genova, il giovane ha affiancato gli studi musicali, diplomandosi nel 2011 in Oboe. L'approccio dell'autore alla scrittura, in un primo momento solo poetica, si è rafforzato con l'adesione alla Libera Associazione Letteraria "Circolo del Cardo" avvenuta all'età di 13 anni, dopo i primi versi creati quasi per gioco alle scuole elementari. Da un paio di anni Schiavon si dedica alla narrativa. Con le parole uscite dalla sua penna, nel 2014 è stato selezionato per far parte di una raccolta di racconti curata dal Premio Internazionale di narrativa "Il Prione". L'arte si presenta all'autore come un convogliare spontaneo e incessante di idee e intuizioni, spunti quotidiani, riflessi e rivisitazioni di un passato già proiettato al domani. Ogni forma creativa viene colta nel suo divenire, vissuta e infine ricondotta, sotto molteplici vesti, al cospetto degli altri fino a sfociare nella molteplicità del panorama letterario contemporaneo.

IL RACCONTO

Egregio Professore,

Lei è il primo per cui scomodo in forma scritta questo aggettivo così austero e al contempo solenne, dinnanzi al quale ogni argento può prendere sembianze dorate, e il carbone, il brillio del diamante. Ma per Lei lo utilizzo volentieri, non tanto perché il suo ruolo, all'interno della nostra istituzione, m'ispiri più di altri, quanto per il semplice motivo che Lei adopererà sicuramente una parte del suo tempo per esaminare ogni riga di questa mia piccola confessione, e, al sospiro che trarrà alla fine, sia esso frutto di perplessità o di magra ammirazione, voglio porgere un sentito gesto di gratitudine.

Presentarmi suppongo non convenga. Sono certo che, ricevuti questi fogli, li avrà presto liberati dalla graffetta e, dopo averli fatti sfilare a uno a uno sotto il quieto tatto delle dita, non avrà risparmiato all'occhio curioso una sbirciatina sul fondo per avere infine svelato il nome dell'autore.

Saprà dunque che sono l'alunno disattento che oggi non si è presentato per il compito, consapevole che, essendo Lei prima di tutto uomo, non mi condannerà per la mia assenza, ma per l'affronto che con essa ho palesato di fronte alla sua condotta morale, al suo ostinato volere farci "rigar dritti", poiché altrimenti, usciti da qui, non saremo altro che "musi lunghi". Non avendoLe tuttavia mai chiesto scusa per le imprecazioni poco cordiali che mi si rivoltavano in mente durante la lezione, non trovo il senso di farlo ora. Anzi, a dire il vero, poiché di oneste parole si forma questa mia lettera, non sono ancora riuscito a credere nella scusa come a un qualcosa che mi fortifichi, rendendomi migliore. Perché di ciò si tratta, non è vero? Lasci perdere, non s'incupisca; corrugare la fronte non servirà a proteggere le sue convinzioni e neppure a farmi cambiare rapidamente idea.

Ecco dunque il motivo per cui mi approprio del suo prezioso tempo, e non mi giudichi ironico quando lo definisco tale, l'ho letto in un articolo qualche settimana fa: sempre più lavoro, sempre meno tempo libero. E chi se lo sarebbe mai aspettato! Il commento dell'autore mi ha comunque colpito, così ho deciso di prendermi un giorno di libertà, boicottando la lezione e, di conseguenza, l'intransigenza del suo carattere, Professore.

Ma non solo. Oggi c'era l'eclissi e il Sole è scomparso per quasi un'ora.

Un po' come me, diciamo, anche se la sua assenza era attesa da tutti. Così, stamattina presto mi sono alzato, i miei genitori mi hanno prestato il consueto aiuto nel vestirmi, e ho fatto intendere loro che sarei andato a scuola come ogni giorno. Con la scusa che in aula non funzionavano i caloriferi, prima di uscire ho potuto indossare la giacca più pesante che avevo, e poi via in carrozzella. Chissà se per Lei, Professore, fa differenza vedere un proprio alunno costretto alla sedia a rotelle. Sa che le dico? Non dovrebbe, neppure per il più insignificante dei particolari. Né per Lei né tanto meno per i miei compagni, con i quali ho comunque un rapporto libero, come se anche io da un momento all'altro potessi alzarmi da questa mia nuova "dimora" per correre dietro a uno di loro. In ogni caso non mi lamento: con la carrozzella si può andare molto veloci, basta essere giovani e in forze. E io lo sono, lo sono come se l'incidente di due anni fa non mi avesse tranciato gli arti inferiori fin sopra al ginocchio; lo sono in quanto la testa, per ora, rimane ben salda sulle spalle; loro sì che hanno patito, si sono fatte ossute, scarne, e talvolta ho quasi l'impressione che si vogliano richiudere in se stesse.

L'eclissi.

Ho percorso il viale alberato, di sicuro la strada più affascinante del mio quartiere. Chissà perché basta piantare due arbusti e tutto sembra diverso.

Se l'immagina, Professore, un ragazzo di diciassette anni sulla sedia a rotelle che marina la scuola? Probabilmente su questa storia qualcuno avrà già ideato una barzelletta; nel caso non l'avessero fatto, ci penserò io.

Non avevo fretta, così ho attraversato la via centrale con una lentezza da centenario in crociera.

Una signora al secondo piano della palazzina dietro la piazza aveva aperto le ante. Fermandomi, notai in uno specchio poggiato a una delle pareti il riflesso di un letto matrimoniale ancora sfatto, le lenzuola rosa pallido tutte in disordine. Sorrisi. Era buffo immaginare di aver violato così facilmente l'intimità di un estraneo.

Più in là, dopo il fruttivendolo, un settantenne rosicchiava uno stuzzicadenti. Mi arrestai poco distante da lui, abbastanza appresso per notare come quella barba di tre giorni dall'aspetto pungente calzasse a pennello con il berretto alla francese che il soggetto indossava.

Seguii non per poco il movimento regolare della sua mandibola, chiedendomi su cosa egli stesse riflettendo, mentre con i denti supponevo stesse triturando l'esile pezzetto di legno. Poi, all'improvviso, il tizio vide da lontano un conoscente, e la sua pelle, nello spalancare la bocca, si fece elastica come il corpo di un ginnasta. La sopresa nell'incontrare questa persona fu per lui tanta, quanto per me il notare che di denti il poveraccio non ne aveva quasi neanche uno. Lo stuzzicadenti era infatti intatto e veniva ora agitato in aria in segno di saluto.

Nel frattempo avevo deciso che, per guardare il cielo, nessun luogo era più adatto del vasto campo incolto subito dopo il ponte.

Prima di arrivarvi, feci sosta in panetteria. Il locale è stretto, a malapena vi è spazio per il bancone e, dall'altro lato, per i clienti. Mi misi in coda come tutti. Seduto sulla carrozzina arrivavo circa alla vita delle persone, chi più, chi meno: la differenza era irrisoria. Davanti a me, una prestante trentacinquenne in calze a rete cercava con moderata foga il cellulare nella borsetta rosso smagliante. Si agitò, le caddero delle chiavi; feci per raccoglierle ma lei fu più rapida di me. Aspirai una ventata del suo profumo e, non so perché, mi parve di riconoscervi l'odore delle attrici di teatro, fatto di cipria, ombretto e chissà cos'altro. Dietro di me qualcuno scartò una caramella: un bambino. Eravamo alti uguali. Gli ammiccai, lui ricambiò. Nella sua minuscola mano i due euro parevano un medaglione di valore, uno di quelli consegnati in premio ai generali e ai più meritevoli condottieri ai tempi dei romani. Lui doveva sentirsi proprio uno di loro; la mamma lo attendeva fuori, trattenendo un passeggino su cui forse era coricato suo fratello, quindi toccava a lui farsi valere e scambiare quella preziosa moneta con il suo primo trofeo.

Non gli augurai buona fortuna, l'avrei spaventato senza motivo. O magari era lui a doverla augurare a me, dato che non ero convinto che il mio braccio sarebbe arrivato fin sul banco per prendere il resto.

Procedendo con calma, non potei non accorgermi che tra le mattonelle del lastricato non vi era quasi più terra, sicché avrebbero retto ancora per poco senza iniziare a "ballare" le une contro le altre, e allora avrei sì potuto proseguire, ma non senza difficoltà.

Cosa c'entra tutto questo con l'eclissi?

Ora glielo spiego.

Arrivai al prato con un lieve ritardo rispetto al previsto, ma dopotutto chi c'era ad aspettarmi? Mi curvai per prendere lo zaino dalla tasca posteriore, ne estrassi un paio di occhialini per ripararmi dai raggi e una radio. Ascolto spesso musica quando mi trovo in luoghi aperti e stamattina non mi sono scordato quest'abitudine. Chiusi gli occhi e tirai su con il naso. Ricordai che nelle prime settimane dopo l'incidente tutto era più incerto, come se il premio dell'esistere fosse rimanere in equilibrio sull'instabilità, senza rinnegarla, ma anche senza farne uno strumento di compassione. Il giorno in cui mi sedetti per la prima volta su una carrozzella, tutti mi guardarono con la pietà che si concede a chi, all'improvviso, perde la propria libertà. Capi leggermente inclinati, mani giunte o al più conserte, sguardi simili, l'uno la copia dell'altro, non tanto rivolti a me quanto all'arnese di cui ero allo stesso tempo succube e amico. Eppure riuscii a deludere chiunque di loro si aspettasse una lacrima, così come chi pareva leggermi sulle labbra il fatidico quesito "perché proprio a me?". Nessuno sospettava che fossi precipitato nell'autocontrollo e che vi potessi rimanere per molto ancora. Ripresi comunque le lezioni in tempi rapidi, riuscii a trasformare la vergogna in timore, finché il timore divenne coraggio.

L'eclissi procedeva. Sincronizzai la radio sulla stazione che prendeva meglio; passavano una canzone che non conoscevo.

Il mio coraggio si sarebbe presto trasformato in passione.

Poi accadde.

Il brano s'interruppe di colpo, senza sfumare gradualmente verso una voce. Da quell'istante partì una cronaca al limite dell'impossibile riguardo a ciò che stava accadendo in cielo. Pareva di stare allo stadio, e io che odio le partite, non sapevo più come proteggere quel momento che da giorni sognavo. Spostai il segnale su un'altra stazione, alla ricerca disperata di un motivo musicale con cui potermi godere quei minuti. Nessuna andava bene, in tutte si udivano voci squillanti ed eccitate che descrivevano, dagli studi, l'incontro tra la palla di fuoco e la Luna. Scaraventai l'apparecchio a terra, le pile si dipersero tra i fili d'erba rinsecchiti sui quali incombeva già una discreta oscurità.

Silenzio.

Finalmente il mondo taceva.

Ah…

In quell'atto di amore non comune, il Sole riusciva a raggiungere la Luna dopo il cheto cammino quotidiano intrapreso da anni, era anzi lei, dalla mia prospettiva, a tendergli un pavido abbraccio fino al più audace tentativo di ghermirlo col suo manto latteo, diventato al suo cospetto un enorme alone cinereo.

Sì, anche agli adolescenti accadono i momenti di saggezza, seppur spesso si tratti solo di brevi periodi in cui la solitudine porta l'impatto sensoriale a coincidere per un istante con la razionalità. Allora si può maturare, fare passi che, senza quel secondo di congiunzione, sarebbero costati decenni.

E ancora: la signora che apriva le ante, il vecchio con lo stuzzicadenti, la trentacinquenne alla moda, il bambino col cuore in gola e la moneta fra le dita, il selciato pericolante.

Dettagli, Professore, che i non diversamente abili si lasciano sfuggire in continuazione.

Perché tutto va così, precipitevolissimevolmente.

Quasi nessuno si ferma per fissare un'istantanea. Piuttosto ci si affanna a coprire anche quegli attimi che andrebbero ammirati senza neppure permettersi di respirare.

In quanti l'avranno capito, oggi?

La prossima eclissi sarà tra undici anni.


Diego