Prima edizione 2001 • segnalato seconda categoria

Komisch

Marco Aliprandini

IL RACCONTO

1.
Thomas, finita la telefonata, si era sentito appesantito. Appesantito da qualcosa che gli si era parcheggiato, scuro e fastidioso, in un angolo dello stomaco. Già, perché era nello stomaco che da giorni sentiva quella sensazione di vuoto che solo il non riuscire ad esprimere i suoi sentimenti gli faceva provare. - Komisch! -, disse a mezzavoce, andando verso la cucina.
Fuori era un caldo insolito e nella sua mansarda i muri sembravano sudare. Thomas amava l’inverno. Il caldo secco dei termosifoni, il piumino senza lenzuola, i cappotti e le giacche di lana.

Amava l’inverno perché dopo una giornata intera in ospedale, non si sentiva in colpa di aver voglia di starsene a casa. - Komisch! - disse di nuovo ad alta voce, ripercorrendo la telefonata con Ada. La solita telefonata delle otto e mezza. Ogni giorno alla solita ora, le solite cose. Quasi fosse inevitabile ritrovarsi anche nell’amore nei rassicuranti confini del già detto, del già sentito per l’ennesima volta. - Sì, domani arriverò verso l’una … qui fa un caldo insopportabile …farò il viaggio insieme a Christine ...

Ada viveva a Milano, lui a Bolzano-Bozen. Si erano conosciuti due anni prima ad un congresso sulla predisposizione genetica dei tumori al retto e al colon e all’inizio si erano parlati in inglese. Si erano avvicinati in una lingua tra loro equidistante. Una lingua neutra, che proprio per la sua mancanza di odore, aveva reso facile il primo approccio rendendolo apparentemente professionale.

2.
All’inizio la comunicazione era stata formale, ma dopo alcuni minuti di inglese Thomas e Ada si erano scoperti entrambi con passaporto italiano.
Certo, la pronuncia tedesca di Thomas poteva essere fraintesa e, come al solito, lui si era quasi divertito a raccontare di essere di madrelingua e cittadinanza diversa. Avevano mangiato insieme e Ada si era mostrata incuriosita da quello strano uomo che spesso parlando si fermava, quasi le parole fossero degli utensili molto delicati, da maneggiare con cura.

Alle volte si era anche chiesta se questa prudenza nel parlare non fosse dovuta ad una certa incertezza nell’uso di una lingua non propria. Una lingua che nasceva come fredda costruzione del cervello e non come calda necessità dello stomaco.
La serata era stata piacevole, lenta e leggera. Ada e Thomas il giorno dopo si erano cercati con gli occhi già nell’atrio dell’albergo, che ospitava il convegno. Poi si erano seduti accanto e, per quelle strane alchimie sotterranee dei sentimenti, si erano sentiti vicini, complici di qualcosa che ancora non riuscivano ad afferrare.

3.
I bambini di madrelingua italiana disegnano il sole con le guance paffute e una pipa, che quasi si confonde con i suoi raggi. Poi disegnano la luna come una donna misteriosa con grandi occhioni indecifrabili, avvolta da una notte carica di stelle.
I bambini di madrelingua tedesca invece disegnano der Mond, la luna come un vecchio signore saggio e distante e die Sonne, il sole come una donna radiosa con il naso piccolo e la labbra sorridenti. In apparenza, è una questione banale di articoli.

Gli articoli determinativi maschili il, der diventano il disegno di un uomo e gli articoli determinativi femminili la, die quello di una donna. Solo il genere in questo caso cambia. La mamma, die Mutter o der Vater, il papà calzano, nella stessa misura, all’esempio. Solo che in questi casi coincidono nelle due lingue anche i generi.
Ogni lingua, in pratica, ha una sua struttura molecolare che la fa diventare madrelingua, lingua madre, lingua capace di generare i medesimi disegni in tutti i bambini.

4.
Ada, finita la telefonata con Thomas, aveva acceso il televisore. Non aveva voglia di uscire e allo stesso tempo aveva voglia di non sentire silenzio intorno a sé e di distrarsi.
La giornata era stata particolarmente dura e in sala operatoria c’erano stati momenti di grande nervosismo. Il tumore, dalle pareti dello stomaco, aveva intaccato anche il peritoneo e il paziente si era riempito di liquido. Quasi sei litri.
Thomas al telefono era stato distante, di poche parole, ma per Ada questo era solo il suo modo tedesco di esprimere i sentimenti. Lo conosceva ormai da due anni e in fondo si era abituata a quella certa difficoltà a lasciarsi andare. Dapprima aveva pensato che fosse una questione di lingua.

Thomas però parlava benissimo in italiano quindi era qualcos’altro che lo rendeva diverso.
Anche quando facevano l’amore non diceva mai niente e questo ad Ada quasi piaceva perché lei aveva campo libero e lo sommergeva con il suo grande bisogno di dare voce alle cose.
Forse lei era più mediterranea, più italiana, ma ripensandoci bene questo non era del tutto esatto, visto che suo padre, nato a Montebelluna, era sempre stato di poche parole.

5.
Anche Thomas aveva acceso il televisore. Lo faceva di rado, erano pochi, infatti, i programmi che riuscivano ad interessarlo. Nel primo canale austriaco c’era una tavola rotonda dove più persone discutevano sul concetto di profugo nel XXI. secolo.
Dopo aver seguito alcuni interventi Thomas si era stancato e aveva abbassato del tutto il volume. Così era rimasto a lungo davanti al video ad osservare come i vari interlocutori parlavano.

Quasi per gioco aveva studiato i loro gesti, la loro mimica più o meno accentuata, poi si era chiesto se in un mondo senza audio sarebbe riuscito a riconoscere la nazionalità dei parlanti.
Di notte aveva fatto un sogno confuso, una vicenda senza un senso apparente, anzi un sovrapporsi frammentario di storie senza un denominatore comune.

Prima che la sveglia suonasse aveva sognato di Theo il suo gatto e al risveglio aveva pensato che in tedesco gatto poteva essere maschile, der Kater, e femminile, die Katze.
Aveva pensato a Theo che era un Kater tigrato e che era morto, quando lui aveva tredici anni, sotto le ruote di una Mercedes di un turista germanico.

6.
La morte, der Tod. Quando un famosissimo regista del Nord Europa in un suo film rappresentò la morte con una figura maschile, i critici dell’area mediterranea salutarono questo fatto come qualcosa di eccezionale. La morte che ogni bambino italiano o spagnolo disegna in vesti femminili era diventata uomo, quasi scavalcando e, quindi, rinnovando l’immaginario comune.
Nel Nord Europa, ad esempio in Germania, invece questo fatto era passato del tutto inosservato, anche perché ogni bambino tedesco disegna la morte come un uomo, visto che il sostantivo Tod è preceduto dall’articolo determinativo maschile der. Mettendo più lingue a confronto si potrebbe conoscere molto del pensiero profondo di chi ci circonda.
Tutto poi diventa ancora più complicato e quindi più significativo se si iniziano a tener presenti i vari dialetti che sono autentiche lingue madri, lingue generatrici di immagini.

7.
Antonio era arrivato a Bolzano-Bozen con il padre che proveniva da un paese vicino a Cosenza. A casa sua, nonostante più di un quarto di secolo di Sudtirolo, parlavano ancora in dialetto, quindi lui si ritrovava a pensare utilizzando le strutture del dialetto, dovendo servire clientela sia italiana che tedesca in un locale di Gais, in Val Pusteria.
Gais è il nome di una delle poche località sudtirolesi che nessuno si sia mai preso la briga di tradurre. Anche Vierschach, piccolo paese a tre chilometri dal confine austriaco, erano riusciti a tradurlo in Versciaco e proprio a Versciaco era nata Verena di madrelingua tedesca, ma perfettamente bilingue perché da piccola aveva sempre giocato con i bambini dei finanzieri.

Antonio aveva conosciuto Verena casualmente ad una cena con amici e, dopo un breve fidanzamento, malvisto da entrambe le famiglie, si erano sposati. Avevano avuto due bambini che avevano chiamato Lukas e Jakob. La sorella di Verena, Christine, aveva studiato medicina a Innsbruck e, dopo la laurea, era andata a specializzarsi in un ospedale di Milano, dove aveva conosciuto Ada e tramite lei anche Thomas.

8.
Verena e sua sorella Christine a casa parlavano dialetto pusterese. Antonio parlava dialetto calabrese e spesso si chiedeva, dopo aver discusso con Thomas, come i suoi due figli avrebbero disegnato la luna, visto che lui si rivolgeva loro in italiano e la madre in dialetto.
Una lingua standard, una lingua senza odori, rende più semplice la comprensione superficiale tra le persone, ma, in qualche modo, le allontana, non permettendo a chi ascolta di annusare la provenienza dell’altro

Thomas si era alzato con la morte del suo gatto in testa e quasi per distrarsi, mentre si faceva la barba si era messo a pensare ad Ada, che alle una sarebbe arrivata. Komisches Gefühl … come avrebbe potuto dirlo in italiano. Komisch si poteva tradurre con strano, non di certo con comico. Strano però a Thomas suonava troppo impersonale per un sentimento.
Nell’aggettivo qualificativo komisch c’era una vena di leggerezza che nella sua traduzione si perdeva. C’era come un alito di vento che in strano veniva a mancare, rendendo la frase quasi irreparabile.
Lui avrebbe voluto dire ad Ada che da un po’ di tempo si sentiva distante, strano, ma non definitivamente strano, komisch appunto. Komisch nel senso che quello che aveva lo appagava ma non del tutto.

In altre parole avrebbe voluto dirle che voleva qualcosa di più di quel vedersi a singhiozzo tra Milano e Bolzano-Bozen, di quelle solite telefonate, alla solita ora. Questo le avrebbe voluto dire, ma sapeva che sarebbe stato nuovamente frainteso. Sapeva che le parole spesso sono contenitori troppo definitivi per riportare il continuo movimento dei sentimenti.

9.
Joseph, il padre di Verena e Christine, era morto due giorni prima. Una malattia lunga e dolorosa, partita dal pancreas e probabilmente causata da un eccessivo uso di bevande alcoliche. Il suo corpo si era lentamente asciugato diventando, giorno dopo giorno, come una tavola di legno ben levigata.
Poi era arrivato l’ultimo respiro che, nonostante fosse da tempo previsto, aveva sorpreso i familiari. In qualche modo di fronte alla morte, maschile o femminile che sia, si è come sorpresi della sua esistenza.

Il funerale era stato fissato per le quindici. Antonio aveva indossato il suo vestito scuro, l’unico che possedeva e anche i bambini erano stati vestiti da grandi. Thomas, alle una, era andato a prendere alla stazione Ada e Christine e in macchina non avevano quasi parlato.
In paese molti sarebbero andati al funerale di Joseph e l’anziano parroco, già dopo mangiato, aveva ordinato sul tavolo della sacrestia quello che gli sarebbe servito per la funzione.

Ogni tanto soprappensiero sfiorava gli oggetti con la delicatezza con cui si raddrizza un quadro alla parete dopo averlo spolverato. Avrebbe detto le solite parole di conforto e di speranza, ma questa volta, ingenuamente, gli sarebbe piaciuto dire qualcosa anche in italiano per Antonio, che spesso lo aveva aiutato nell’orto dietro alla chiesa

10.
Anche nei funerali le usanze sono diverse. Il colore del lutto in gran parte dell’Oriente è il bianco, mentre in Occidente è il nero. Nei paesi sudtirolesi è tradizione dopo la sepoltura ritrovarsi in un locale a mangiare qualcosa, una minestra o dello speck, insieme ai parenti del defunto.
Quasi un segnale che la vita in ogni caso deve andare avanti sugli stessi binari.

Ada, di solito sempre all’altezza della situazione, una volta entrata nel Gasthof era rimasta senza parole. Quando Christine le aveva detto di suo padre, subito, si era offerta di accompagnarla, ma adesso tra gente straniera, si sentiva inadeguata. Thomas, che parlava in dialetto con un signore molto distinto, le sembrava diverso da quello che lei conosceva. Guardandolo si era stupita di non poterlo capire.
La sua gestualità le sembrava diversa. Lui era un altro. Anche Christine, vicino alla madre, aveva un’altra faccia, parlava in un’altra maniera. E questo essere altro delle persone a lei care, dapprima l’aveva fatta quasi soffrire.

Come se in qualche modo la loro diversità fosse stata un muro insuperabile o ancora peggio un tradimento.
Sulla strada verso casa, in macchina, quel sentimento era andato sciogliendosi e, quasi come una porta che improvvisamente si apre, ad Ada parve, in quel pomeriggio, di aver capito qualcosa di Thomas, che per due anni le era del tutto sfuggito.

11.
Nelle lingue occidentali il pronome personale che indica la prima persona singolare io è spesso molto semplice da pronunciare. In inglese e tedesco o in francese e spagnolo è forse una delle prime parole compiute che un bambino riesce ad emettere con una certa chiarezza.

Io che in italiano è formato solo da due vocali, in giapponese si dice watashi, quattro consonanti e tre vocali.
Di sicuro watashi è un suono composto che un bambino riuscirà a dire solo dopo un certo esercizio. L’io in giapponese si impara quindi più tardi e questo probabilmente coincide con una sua rilevanza minore rispetto ad altre parole.
Thomas chiuso il libro di un anziano etnologo, che aveva vissuto per anni in Giappone, spense la luce.
Nel silenzio subito sentì più vicino del solito il respiro profondo di Ada.