Terza edizione 2005 • segnalato seconda categoria

Sei ore

Chiara San Giuseppe

IL RACCONTO

Da alcuni giorni aveva capito che avrebbe potuto toccare a lui.

Al Ministero erano tutti un po' troppo gentili, i colleghi in Università erano cambiati: o troppo vicini o troppo distanti.

L'annuncio era stato una sorpresa, quasi uno choc, ma era come se lo avesse sempre saputo. Da quando, dieci anni prima, a Ginevra era stato presentato il progetto TM, aveva inconsapevolmente coltivato questo sogno, ma non si era mai spinto fino ad immaginarne i dettagli.

Quella prima riunione alla sede del CNR era l'inizio della realtà e infatti mentre appoggiava al sensore il polso in cui era innestato il microchip, improvvisamente gli venne paura: e se fosse stato doloroso fisicamente? e se qualcosa fosse andato storto?

Era vecchio, ancora vigoroso, professionalmente attivo, ma senza più aspettative per sé, disincantato da un mondo dove ormai era tutto sotto controllo, la vita di tutti era stata imbrigliata; era tutto più sicuro, è vero, ma così erano praticamente morti prima del tempo.

Sentirsi parte della Storia, quella con la S maiuscola, gli dava finalmente un'emozione forte, sconosciuta: sarebbe stato il primo.

L'eccitazione gli procurò una specie di erezione che subito si spense.

Quando l'ascensore si aprì gli sembrò di essere in uno di quegli antichi film bidimensionali sulla prima generazione dell'Impero Americano: tavolo ovale, pelle nera, schermi al plasma, vetro, acciaio, divise, silenzio, luce blu.

Ora era notte fonda, era tornato a casa. Seduto alla sua scrivania illuminata da una lampada di antiquariato Novecento, uno dei suoi secoli preferiti, rifletteva e inseguiva infastidito i morsi dell'ansia che si spostavano dallo stomaco, alla testa, alla gola, generati da una paura più che reale: solo una volta, solo sei ore, e se non ci fosse riuscito?

Solo sei ore: questa era la durata del primo esperimento del Progetto Macchina del Tempo, scientificamente la dizione era molto più sofisticata, ma ormai tutti lo chiamavano così.

Nei pochi giorni che erano passati tra l'annuncio che sarebbe stato uno storico, e non uno scienziato, a partecipare per primo al progetto e la riunione del pomeriggio, aveva sognato esperimenti lunghi come romanzi: accompagnare Alessandro Magno in Persia, frequentare la corte di Isabella al ritorno di Colombo. Non sapeva decidersi tra l'assistere alle sedute del Concilio di Trento, o seguire da vicino i 42 giorni che precedettero la dichiarazione di scioglimento delle Nazioni Unite.

Invece gli avevano dimostrato matematicamente che aveva a disposizione solo quelle poche ore.

In qualità di studioso emerito era libero di scegliere quali, però quelle ore avrebbero dovuto testimoniare di un evento, magari sconosciuto, ma fondamentale. “Dovevano essere ore capaci di svelare, a uno storico della sua levatura, la trama degli eventi, la vibrazione della storia, insomma dovevano essere scelte ore in cui si vedano in nuce gli eventi futuri, magari il nostro magnifico presente” così si era espresso il Ministro per la Salvaguardia della Storia Occidentale.

Una concezione della storia, oltre che insopportabilmente ideologica, anche infantile dal punto di vista scientifico, ma con cui segretamente si era sempre dilettato anche lui: quale avvenimento aveva dato inizio ad uno scenario nuovo? In che minuto era stata passata la frontiera tra un corso degli eventi e un altro? Gli attori ne erano consapevoli? Cosa stavano mangiando? Erano sereni o infastiditi dal prurito della scabbia? Che odore c'era nella stanza, nell'accampamento, nella piazza?

Era capace di immaginarsi intere scene del passato minuziosamente, perfino la carta da parati leggermente sollevata nelle stanze di Richelieu, le smagliature sui fianchi delle ancelle di Cleopatra, l'impalpabile polvere grigia che ti asciugava la bocca nel crollo delle Torri Gemelle.

Lui era lì.

Era questo che rendeva i suoi romanzi storici dei best seller. Naturalmente nessuno sapeva che erano suoi, tutti lo osannavano per gli illuminanti saggi, la sagace ricerca e lettura delle fonti, le sue acute analisi, la capacità di inseguire un'idea e i suoi risultati per secoli.

Sei ore. La sua mente era come paralizzata.

Quali sei ore? In base a quali fonti poteva scegliere con sicurezza un lasso di tempo così breve, ma assolutamente significativo come volevano i Ministri dell'Impero, da documentare con la videocamera che gli avrebbero impiantato sulla sella nasale?

Solo la storia degli ultimi secoli - fatta di verbali, orologi, televisioni, reti, microchip personali - poteva forse dare la certezza che un dato avvenimento si era svolto a quell'ora e in quel luogo. Ma la storia antica…

Se scelgo una mattina di maggio a Tivoli e il vecchio imperatore Adriano non c'è, perché si è fermato ad Anzio? Assisterei solo ad una quieta giornata in una villa imperiale: qualche furto alla dispensa, una lite tra le cuoche, dei soldati che giocano a dadi.

Oddio, sarebbe impagabile! Per quella scena sentì una stretta di nostalgia come per alcuni ricordi della sua infanzia: lame di sole nel garage dei nonni, gattini nel cesto dei gomitoli.

Poteva barare, avrebbe potuto rivivere sei ore della sua vita; no, avrebbe sprecato una grande occasione.

Cominciò a consultare il suo ordinatissimo archivio on line: decine di migliaia di documenti di ogni genere, lettere, libri, documenti, tutto catalogato.

Perse alcuni giorni inutilmente.

Anche se fosse riuscito a scovare quelle sei ore - ammesso che ci fossero - tutti, non solo i colleghi, avrebbero fatto a gara per dimostrare che ben altre e più interessanti scelte potevano esser fatte.

Sentiva su di sé una pressione enorme, come se l'umanità intera si aspettasse da lui qualche cosa di risolutivo, una speranza per il futuro, perché erano tempi brutti e tristi.

Mentre era in fila per firmare la consegna mensile dei rifiuti, prese la sua decisione.

All'inizio sarebbe stato uno scandalo, poi, qualcosa su cui ricamare interpretazioni per anni - conosceva bene le dinamiche dei cosiddetti intellettuali - ma non gli importava nulla.

Dopo tanti anni di lavoro, era una sorta di regalo di fine carriera all’uomo e allo studioso.

Adesso la paura era passata, provava una intima e serena eccitazione mentre consegnava la relazione direttamente nelle mani del Ministro. Ventitre cartelle ordinate e precise in ogni dettaglio, in cui discettava della data scelta con dovizia di argomenti e una prosa tanto ricercata da occultare la verità.

Discusse la sua scelta con il gruppo degli specialisti preposti all'esperimento, ma nessuno osò ammettere che non aveva capito nulla, né contestare la sua autorevolezza: a loro interessavano solo particolari molto tecnici.

Che a Lovanio il 15 giugno del 1804 alle quattro di pomeriggio l'aria profumasse di tiglio tanto da stordire, non interessava a nessuno.

Aveva rintracciato nei suoi files il diario e le lettere di una giovinetta di quasi diciassette anni che scriveva con una grazia e una potenza straordinarie.

Era un misto tra la leggerezza intelligente della Austen, la passione modernissima della Dickinson e la sensualità un po' cinica di Lawrence.

Anni prima aveva letto e usato, nei giochi con una sua amante, brani e situazioni di quel magnifico diario intimo.

Nella primavera del 1804 Florence aveva perso la verginità.

Con una lettera deliziosa e arguta, datata 14 giugno, aveva ceduto alle sue ardenti e giovanili curiosità e alle naturali insistenze del suo amante dandogli appuntamento per l'indomani, nelle stalle della grande casa dei suoi genitori.

E lui, non visto, sarebbe stato là.

Giunto da secoli di civiltà e scienza, pieno di tecnologia, circuiti ovunque, monitorato in ogni cellula, con sistemi di rilevamento per il clima, la composizione dell'aria, la radioattività, pronto a documentare un evento eccezionale in ogni suo particolare.

Fu di una dolcezza e di una passionalità sconvolgente.

Abbandonata sulla sottogonna di crinolina ricamata e con la paglia tra i capelli, mentre faceva l'amore per la prima volta Florence era tutte le donne della storia.

Ebbe anche il tempo di guardarli fingere di dormire, l'uno nelle braccia dell'altro.

La vide lavarsi le gambe all'abbeveratoio dei cavalli.

La seguì in camera dove lei si scrutò a lungo nello specchio per vedersi trasformata in donna.

C'era a tavola, dove lei, pudica, misteriosa e splendente mangiò distrattamente, ma con gusto, sotto gli occhi indagatori della madre.

Servirono zuppa di carote, coniglio alle erbe stufato, patate alla brace, un vino rosso rovinato dai troppi tannini.

Alle 21 e 30, battute da una preziosa pendola inglese in anticamera, c'era ancora abbastanza batteria nella videocamera per riprenderla mentre si ritirava in biblioteca - soprattutto classici latini e qualche trattato di agronomia - a scrivere una pagina di diario assolutamente sacra, privata, e resa ora eterna.

La telecamera si spense mentre si passava una mano sul ventre, come fanno ancora, anche nell'Impero d'Occidente, tutte le donne prese da poco e con vigore.