La nona edizione 2017 • segnalato sezione inediti

La rincorsa

Vincenzo Todisco

Vincenzo Todisco

Vincenzo Todisco (1964) è scrittore e docente presso l’Alta scuola pedagogica dei Grigioni a Coira (Svizzera). Il suo esordio letterario risale al 1999 con una raccolta di racconti intitolata Il culto di Gutenberg e altri racconti (Armando Dadò), tradotto in tedesco con il titolo Das Krallenauge (Rotpunktverlag 2001). Seguono i romanzi (tutti per le Edizioni Casagrande) Quasi un western (2003), Il suonatore di bandoneon (2006) e Rocco e Marittimo (2011), tutti usciti anche in traduzione tedesca presso il Rotpunktverlag di Zurigo. Nel 2003 ha pubblicato il libro per ragazzi Angelo e il gabbiano, con illustrazioni di Rudolf Mirer, in quattro lingue (italiano, tedesco, francese e romancio). La sua opera narrativa più recente è una raccolta di racconti, Il vento freddo dell’Altipiano, uscito nel 2015 per le edizioni Dadò. Todisco, che vive con la sua famiglia a Rhäzüns (Grigioni/Svizzera), ha ottenuto diversi riconoscimenti letterari, tra cui il Premio letterario grigione 2005.

IL RACCONTO

Durante le prove del mattino il clown ha preso la rincorsa, ma prima dello scatto decisivo è inciampato. Per un attimo ha perso l’equilibrio, si è sbilanciato barcollando sulla gamba sinistra, ma non è caduto ed è riuscito a ricomporsi. Insieme a lui sotto il tendone c’erano la funambula, la ballerina, la donna cannone, il giocoliere e il domatore di tigri. Ognuno di loro era concentrato a provare il proprio numero. Mancava il clown giovane che come sempre era in ritardo.
Dopo essere inciampato, il clown ha fatto con voce un po’ tremante:
“Per oggi basta, ragazzi, io torno in roulotte”.
Nessuno gli ha dato retta. Il clown è uscito dal tendone. La donna cannone è stata l’unica che per un momento ha girato la testa verso di lui. Il clown ha attraversato lo sterrato, è entrato nella sua roulotte e si è seduto davanti allo specchio.

Prima di mezzogiorno sotto il tendone è arrivato l’impresario con la solita sciarpa bianca legata attorno al collo. E come sempre ha buttato l’occhio a destra e a sinistra tenendo il grosso sigaro tra l’indice e il medio della mano destra ingialliti per la nicotina.
Ha gridato:
«E Pillo dov’è?
Gli altri si sono guardati e la funambola ha risposto:
«Boh, era qui!»
L’impresario è andato su tutte le furie:
«Ma cosa vi credete», ha urlato, «che vi pago per starvene qui senza far niente, avanti, al lavoro!»
Poi si è precipitato fuori dal tendone e si è diretto verso la roulotte del clown. Non ha bussato.
Il clown era ancora seduto davanti allo specchio.
«Pillo, che ti prende, perché non sei a provare con gli altri?», ha urlato l’impresario.
«Ho finito prima», ha risposto con calma il vecchio Clown.
«Va tutto bene? Sei pronto? Lo farai, vero?»
«Certo che lo farò, non ti preoccupare».
«Vecchia canaglia di un clown», ha riso l’impresario poggiandogli la mano sulla spalla, «lo sai quanto è importante, non solo per me, per tutto il circo».
Il clown ha chinato la testa. Poi l’impresario ha detto che aveva da fare ed è uscito.

Dopopranzo ha bussato la donna cannone. Il Clown prima non voleva aprire perché non aveva voglia di vedere nessuno.
«Pillo, dài, esci fuori, lo sai che non ci passo», ha gridato da fuori la donna cannone.
Il clown è uscito. Si sono seduti fuori davanti alla roulotte. Aveva piovuto ed era tutto pieno di fango. C’era un cielo grigio, pieno di nuvole che sembravano fumo. Si sono messi a parlare.
«Come passa il tempo, eh, Pillo? Quando ero ragazza, sognavo di recitare a teatro e tu, non so se te ne ricordi, una volta mi hai detto: con tutta quella ciccia che ti ritrovi, dove vuoi recitare!»
«Mi ricordo, sono stato cattivo», ha fatto Pillo abbassando gli occhi.
«Non è che eri cattivo, eri giovane», ha sorriso la donna cannone.
«Ad ogni modo non sono mai salita su un palco, ma sono rimasta qui a infilarmi ogni sera dentro la bocca del cannone. Da bambina cantavo in chiesa durante la messa. Avevo una voce bellissima, da attrice. La vita mica ti aspetta, caro mio.»
«Qualcuno questa mattina se n’è accorto?», ha chiesto Pillo.
«Non credo, stai tranquillo».
«Non mi era mai successo».
«Non pensarci, cosa vuoi che sia.»
«E invece ci penso, lo sai cosa vuol dire. All’impresario cosa gli avete detto?»
«Niente, cosa vuoi che gli abbiamo detto, lo sai com’è fatto. Ci tiene tanto allo spettacolo di questa sera, siamo nella sua città, dice che viene anche il sindaco e a quanto pare ci saranno anche i fuochi d’artificio. Lo farai?»
Il clown non ha risposto, poi ha detto:
«Il clown giovane lo fa già meglio di me.»
«L’impresario dice che fa più effetto se lo fai tu».
«Perché sono vecchio e faccio ridere».
«Già, perché sei vecchio, che te ne importa!»
C’è stato un momento di silenzio. Poi la donna cannone, per rompere l’imbarazzo, ha cambiato discorso:
«Ueh, Pillo, vuoi sentire anche questa? Lo sai qual è sempre stato l’altro mio grande sogno? Mettermi una volta nella vita le scarpe con i tacchi. Ma cosa vuoi, non c’è tacco che possa reggere questa montagna di ciccia».
Hanno riso insieme.
«Dài che ci fa bene riderci sopra», ha continuato la donna cannone asciugandosi gli occhi, «tu non ridi mai, credo bene che non ti sei trovato una moglie e non ti sei fatto una famiglia».
«Un clown non può avere famiglia», ha fatto Pillo con voce malinconica, «devi far ridere la gente per un’intera serata e dopo ti rimane una malinconia che ti mette addosso una gran voglia di piangere e basta. Mica puoi startene tutto il giorno a piangere, con una famiglia».
«Sì, ed io, allora?», ha detto la donna cannone storcendo la bocca, «cosa credi, che sia una bella cosa essere infilata ogni sera dentro la bocca di quel cannone? A parte che tra un po’ non ci entro più, ma da qualche tempo mi sento un nodo alla gola e non respiro.»
«Già», ha fatto il vecchio Clown. 
«Ueh, Pillo, ma quand’è che l’hai fatto per la prima volta?»
«Avevo vent’anni. Sono stato io il primo clown a fare il salto mortale. Mi godevo gli applausi, già mentre prendevo la rincorsa, e poi il boato del pubblico quando saltavo. Dopo il salto facevo il giro dell’arena camminando sulle braccia e alla fine dello spettacolo le strette di mano e le pacche sulle spalle. Per la strada mi riconoscevano. Mi chiedevano l’autografo. Per me era un gioco. Ma un giorno ti svegli con un dolore da qualche parte. Adesso prima di prendere la rincorsa il sangue mi pulsa dentro le gambe. Mi tremano le braccia, non ce la faccio a tenerle ferme.”
La donna cannone non ha detto niente. Il clown ha continuato:
“Tutto sta nella rincorsa, se sbagli lì, un passo troppo lungo, uno troppo corto, un’esitazione, sei fritto. E io oggi sono inciampato.”
La donna cannone ha detto:
“Ueh, Pillo, senti anche questa: lo sai che nello specchio non mi vedo mai tutta intera.”
Il clown non ha riso e sono rimasti per un po’ senza parlare.
A un certo punto la donna cannone ha mormorato tra sé e sé:
“Certo che facciamo una vita, sempre rinchiusi in queste roulotte, senza nessuno che ci aspetta.”
Il clown ha fatto di sì con la testa.

Durante le prove del pomeriggio il clown giovane si è esibito in una ventina di flessioni, prima sul braccio destro, poi su quello sinistro. Si passava la lingua sulle labbra e non aveva una goccia di sudore addosso. Poi si è alzato e si è lanciato nel salto mortale come se fosse la cosa più facile al mondo. Mentre lo ha fatto, ha guardato con aria strafottente verso il clown vecchio.
«Guardi, maestro, ho imparato a farlo con un minimo di rincorsa.»
E ne ha fatti altri tre, uno dopo l’altro, atterrando ogni volta sicuro sui due piedi.
La funambola dall’alto della corda ha battuto le mani. Il clown vecchio ha abbassato gli occhi. Poi si è sentita la voce dell’impresario.
«E allora, che si fa qui? Si gioca? Forza, al lavoro che tra sei ore qui dentro sarà pieno di gente.»
Poi ha guardato il clown vecchio:
«E tu sei pronto? Fa un po’ vedere!»
La donna cannone si è intromessa. Ha detto che stavano provando il programma dall’inizio alle fine e che non dovevano interrompere.
Si è affacciata la ballerina e ha chiamato l’impresario. L’impresario è uscito sbuffando.
“A quella lì la porta in palmo di mano come una diva del cinema”, ha fatto la funambola con tono stizzito.
“Quando entra in pista lei, l’impresario si fa rosso in viso», ha aggiunto il giocoliere, “mi dice sempre che una con le gambe lunghe e il sedere sodo come quella nella sua compagnia lui non l’ha mai avuta, altro che diva”.

La donna cannone intanto ha preso in disparte il clown vecchio:
«Che ti succede? Hai paura? Hai uno sguardo che non ti ho visto mai. Se non te la senti di farlo, è meglio se rimedi subito».
«E all’impresario che gli dico?», ha fatto il clown pensieroso.
“Eh già”, ha risposto la donna cannone, “la cosa più brutta è che non decidi più niente della tua vita, decide tutto l’impresario, ti dice quello che devi fare e non devi fare”.
“Il pubblico vuole vedermi cadere, ha fatto il clown.
“Bella scoperta, cosa ti importa, sei caduto tante volte.”
“Cadevo perché volevo cadere, non è la stessa cosa.”
La donna cannone non ha trovato niente da ridire.
C’erano dei ragazzi che sgommavano con i motorini sui cumuli di terra sparsi tutt’attorno al tendone. Poi si è sentito il fischio del treno che due volte al giorno, la mattina e la sera, passa a un centinaio di metri dal circo.
“Ce n’è sempre uno che tira giù il finestrino e saluta”, ha detto il clown, “a volte mi siedo davanti al binario e aspetto. Da ragazzo mi dicevo che un giorno avrei preso la rincorsa e sarei saltato su quel treno.”
“Sì, domani!”, è stato il commento della donna cannone.
“Il mare è da quella parte, vero?”, ha chiesto il clown.
“Boh, e chi l’ha mai visto”, ha fatto la donna cannone alzando le spalle.

La sera hanno cenato tutti insieme davanti alla roulotte della donna cannone e per vincere la tensione hanno fatto un po’ di baldoria. C’era anche il clown giovane che di solito se ne va per conto suo in città (dicono a cercare le ragazze). Ha fatto lo strafottente anche lì. Si è piazzato davanti al clown vecchio con i piedi ben piantati al suolo e ha detto:
«Lo so fare anche qui, veh, da fermo, volete vedere?»
Il domatore di tigri gli ha tirato un sasso e il clown giovane non ha detto più niente. Poi sono andati tutti nelle loro roulotte a prepararsi per lo spettacolo.

Era proprio una serata speciale. In platea non c’era più un posto libero. C’era anche il sindaco della città e prima di cominciare, l’impresario ha fatto un lungo discorso. Poi lo spettacolo è iniziato e il pubblico ha subito battuto le mani. È andato tutto liscio. La funambula non è scivolata dalla corda, il domatore di tigri ha tirato la testa fuori dalla bocca della tigre senza riportare un solo graffio, al giocoliere non è cascato nemmeno un birillo, la ballerina ha ballato con tanta grazia da far scendere una lacrima sulla guancia dell’impresario, il clown giovane ha fatto ridere un po’ sì e un po’ no e la donna cannone si è infilata nel cannone e dopo il botto è atterrata grande e leggera nella rete. Alla fine l’impresario si è presentato in pista con un vestito nuovo e il cilindro in testa. Ha detto che ora aveva il piacere di annunciare il numero più strepitoso dello spettacolo, il clown più vecchio del mondo ancora in grado di fare il salto mortale. I riflettori si sono spostati sullo spacco di tenda da dove sarebbe dovuto uscire il clown. È calato un silenzio così fitto che si sarebbe sentita volare una mosca. Si è sentito il rullo del tamburo. Non è successo niente. L’impresario ha guardato con una faccia rabbiosa verso la tenda. Niente. Dopo un momento di esitazione ha alzato la mano per fare segno di riprendere il rullo del tamburo.
La donna cannone ha girato la testa dall’altra parte e ha sorriso:
“Ma guarda un po’!”, ha mormorato.
Aveva gli occhi lucidi, ma si sforzava di non piangere. Non ha fatto caso al pubblico che cominciava a gridare “buuhhh…, buuhhh…” né all’impresario che correva di qua e di là asciugandosi il sudore con il dorso della mano. Se ne stava lì ferma con gli occhi puntati verso l’uscita. E se lo vedeva davanti, il vecchio Pillo, come stava tagliato per i campi in direzione dei binari, come stava prendendo la rincorsa per saltare sul treno e andarsene via.