Seconda edizione 2003 • segnalato seconda categoria

Una giornata di pioggia

Claudio Quinzani

IL RACCONTO

Trova riparo sotto il ponte di una strada adiacente il porto e cerca di sistemarsi per la notte. Piove a dirotto da molte ore: l’acqua piomba obliqua sulla superficie del mare e non c’è verso che accenni a smettere. L’odore pungente degli avanzi dei pescherecci gli soffoca il respiro. Cerca di avvolgersi al meglio nel suo impermeabile stinto e consunto: sono troppi anni che se lo porta addosso.

Quando non scova un rifugio decente, cammina veloce per evitare di addormentarsi, con la paura che qualcuno lo derubi delle poche cose che tiene in tasca: un vecchio mazzo di chiavi, un pettine consumato, qualche foglio ingiallito e una penna.

Vent’anni fa insegnava in una scuola: italiano e storia. Aveva prestato servizio per molto tempo in un carcere. La sua prima lotta era stata entrare e cominciare la lezione: decise al momento, senza troppa professionalità che avrebbe dovuto combattere per davvero: con il capobanda.
Fu lui a proporre i patti, adeguandosi immediatamente alle leggi del posto: «Se vinci tu, mi siedo qui, firmo il registro e fate… fate come avete sempre fatto. Se vinco io, impariamo qualcosa insieme.» Per fortuna ebbe la meglio e si poté fare come diceva lui. Quando se ne andò, tre anni dopo, molti piangevano e non avevano capito solo l’alfabeto. Ma fu lui a portarsi via brandelli indefinibili che gli riuscì di trasmettere alle classi fuori, fuori dalle mura, per molti anni ancora.

Finì per strada: «a fare il barbone» come spesso si rammaricava sua figlia quando cercava di recuperarlo da una parte all’altra della città. Erano scene patetiche che non sopportava più. Decise di scriverle una bella lettera ed evase completamente: si trasferì in un posto d’Italia di fronte al mare. «È per via della moglie morta!» dicevano ai mercati; «Ma no! È uscito di matto del tutto!» ripetevano i dirimpettai della figlia che non riusciva a darsi pace.

D’estate campa bene: al mare fa caldo, la gente è generosa e a molti piace sprecare; c’è sempre qualche immondezzaio dove trova rimasugli di cibo ancora intatti. D’inverno setaccia la spiaggia metro per metro con un bastone ricurvo e gli capita di trovarci di tutto: catenine d’oro, monete smarrite, orologi, qualche anello. Per molti giorni non rinviene nulla; ma gli basta un pezzo di valore ogni due settimane, e tira avanti per altre tre. È un mestiere il suo, e non si pente affatto di girovagare tutte le mattine oltre la battigia per chilometri.

Oggi si sente molto stanco e gli duole una gamba; ma sotto quella specie di caverna cementata si sta bene, anche se fuori piove e i reumi non accennano a dargli tregua.

Di lontano una giovane donna corre con un cane e viene a rifugiarsi proprio lì sotto.
« Che tempo assurdo!» esclama frizionandosi le braccia mentre il cane si scuote dall’acqua. Una bella donna, sui trent’anni, dallo sguardo quieto; i capelli biondo chiaro, un corpo ben fatto che scruta dalla tuta rossa. Il sudore della sua pelle emana piccoli vapori al riparo della struttura in cemento.

I due si scambiano un breve cenno di saluto mentre lui deglutisce per l’emozione: è molto tempo che non assembla due parole con qualcuno, per di più con una giovane, bella e sorridente al primo sguardo.
Dopo qualche minuto quella si decide per una frase: «Luigi Pirandello, cari ragazzi, era un genio; i suoi personaggi dei folli miracolati!» L’uomo ha come un sussulto d’emozione di cui non riesce ancora a stabilire bene origine e provenienza.

« Giacomino: il buon Leopardi, si doleva spesso e piangeva senza farsi scorgere. Animo troppo sensibile, ragazzi miei!» continua con bonaria ironia, mentre lui scioglie le spalle in un sussulto di pianto non previsto. Lei si avvicina e lo abbraccia con una dolcezza lontana, da lungo attesa. Il cane si alza sulle zampe e lambisce le gambe dei due, leccando mite il tessuto livido degli abiti dell’uomo.

« Quanto tempo Lorena!» Rimangono così, in un silenzio assordato dall’acqua, abbracciati, senza parlare. Gianni sospira forte per inghiottire le ultime lacrime infreddolite. «Cosa fai di bello qui?» chiede sciogliendosi dalle sue braccia, cercando di vincere l’imbarazzo. «Faccio la stagione al mare. Oggi è il mio giorno di libertà. Non ho avuto tanta fortuna dopo gli studi… però la passione di scrivere mi è rimasta sempre!» esclama d’un fiato, sorridente, senza difese, con lo stesso ingenuo gioco d’occhi di quando sedeva in classe vivace ed attenta.
« Brava. Brava Lorena. Non importa cosa facciamo per ritardare la nostra fuga dal mondo. Essenziale è respirare la vita per quello che è, senza lasciarci sfuggire un minuto secondo» soggiunge Gianni come ghermito da una memoria incarnata all’improvviso nelle sembianze di quella donna comparsa dall’acqua. «Ce lo diceva sempre questo: me lo ricordo! Venga nel mio albergo, la prego. Le regalo una stanza per una notte. La stagione non è neanche all’inizio, vedrà che non ci faranno storie!»

Che buffo vedere quell’uomo trascinato sotto la pioggia da una giovane con un cane che si ostina a dirgli di non darsi pena, che c’è pochissima gente e tante stanze libere, mentre lui, impacciato e fradicio prova a contraddirla.
In brevissimo tempo si ritrova sotto un getto d’acqua che scorre caldissima sul suo corpo. Si riscopre a cantare insaponandosi come un pupazzo di neve: una sensazione molle e leggera che non ricordava da molto tempo. Quando Lorena bussa alla porta della sua camera è pronto e lucido come un ballerino la sera della prima.

« Prof, è bellissimo!» prorompe la giovane donna mentre lo invita a provarsi degli abiti nuovi che si è fatta regalare dall’amico cameriere: «Li indossi e non si offenda! Chiaro?» Lorena si è spiegata benissimo e Gianni si veste senza indugiare.
Vanno a cena in un bel ristorante, mangiano bene e bevono molto: sembra si conoscano da anni e non si siano mai persi di vista. Barlumi di euforia spiccano giocosi dai loro volti paonazzi, paiono assorti: al primo appuntamento con la vita, di quelli rari che ogni tanto proprio la vita sa concedere. Parlano di poesia, di autori russi, di vino e danze, fino a tarda notte. Gianni insiste per pagare ma Lorena gli fa uno scherzo d’accordo con il gestore. «Sta sera è tutto gratis!» dice quello mentre fa l’occhiolino alla donna.

La giovane studentessa riaccompagna il professore in albergo. Si sorreggono salendo le scale, incitandosi a fare piano. Davanti alla stanza la donna lo abbraccia e scoppia in un pianto incontenibile. L’uomo cerca di trovare le parole per calmarla, ma lei sembra non sentirlo, apre la porta e con tutta la spontaneità di cui è capace gli sussurra in un orecchio: «Posso dormire con te?» L’uomo arrossisce impacciato ma lei decisa lo spinge in camera, gli sfila lentamente i vestiti e raccoglie in grembo il suo corpo fragile, morbido, appena avvizzito dal tempo e dal freddo.
Lo stringe forte, lo accarezza a lungo, asciuga le lacrime sulla sua pelle. Ci fa l’amore, cullandolo e vezzeggiandolo piano; rimboccando in un gesto tutta la tristezza, la pazienza a lungo annodata alle gambe di quel giovane lontano, sempre presente nei suoi ricordi di ragazza: quel tipo strano che bastava parlasse e a lei veniva da sorridere e capiva la vita come nelle pagine segrete di un libro aperto.

Gianni sospira forte, stringe quel corpo sconosciuto dalla pelle bianca, i capelli lunghissimi e ribelli che le sfiorano i fianchi; quasi la scarna sua pellaccia errabonda volesse donargli un ultimo respiro e gli avesse accordato una giornata indimenticabile.

Lorena lo bacia ancora e attende che si addormenti sotto le sue dita tenere e sopite. Ascoltando il suo respiro è sicura di aver fatto la cosa più bella che il suo giovane corpo si sia mai inventato, e guarda la luna da uno spiraglio di luce. Sembra che l’acqua accenni a placarsi. Sorride alla pioggia che quel giorno aveva deciso di buttarsi sulla spiaggia senza che niente potesse trattenerla.